Intervista a Erykah Badu: fa nascere la sua arte come una doula
“Ho un piede sulla Terra e l’altro in un barattolo di elettricità.”
In un mondo che scorre alla velocità di uno scroll, Erykah Badu ha chiesto a 25 persone di rallentare e ascoltare.
Per celebrare il suo 25° anniversario, Telekom Electronic Beats ha invitato la regina della neo-soul a trasformare Reethaus Berlin, il suo “Sound Temple” in uno spazio di suono e di silenzio, con un evento battezzato “Monday Ceremony”. Durante un’immersione intima guidata dalla stessa Badu, gli ospiti hanno consegnato i telefoni, si sono sdraiati sui tappetini e hanno ascoltato in cuffia.
Dopo il debutto a Tokyo, andato in scena quest’estate sul rooftop Kalkul di Shibuya, l’edizione berlinese ha offerto un raro incontro con la pratica in continua evoluzione di Badu: un intreccio di registrazioni d’archivio, materiale inedito e improvvisazioni spontanee, destinato a non ripetersi. La performance oscillava tra digitale e analogico, dando vita a una meditazione condivisa su che cosa significhi essere pienamente presenti.
Continua a leggere per una conversazione con Erykah Badu su presenza, processo e sul potere della cerimonia in un’epoca distratta.
Sei una doula del parto certificata. Quali sono i parallelismi tra questo e mettere al mondo un nuovo album?
Tra il mettere al mondo un album e l’essere doula del parto le analogie sono tante. Entrambi richiedono tempo e pazienza. A volte il silenzio precede la nascita e, il più delle volte, ci sono il dolore e il lasciare andare qualcosa di personale. Sono entrambe cose che hai custodito solo tu e che ora devi condividere con tutto e con tutti. È al tempo stesso liberatorio e spaventoso.
Scrivi deliberatamente i tuoi testi o è più improvvisazione?
Il mio processo di scrittura è improvvisativo. Per me, scrivere deve coinvolgere la musica, altrimenti scriverei poesia. La prima cosa che faccio è canticchiare sulla melodia per capire dove mi inserisco. Poi comincio a intonare ritmicamente per capire dove il mio tamburo si incastra con gli altri. Poi devo dare un senso a tutto questo canto. Dentro ci sento parole e melodie. Come autrice, scrivo ogni brano che ho, quindi ogni volta è come una piccola nascita: dare suono a ciò che sei o che provi.
Hai anche detto che la performance è la tua terapia. Che cosa guarisce quando sei sul palco?
Per me, la vita è un susseguirsi di guarigioni. Ogni volta che salgo sul palco, qualcosa guarisce, perché posso aprire la bocca e lasciare uscire le cose che non mi fanno più crescere. Ogni volta qualcosa guarisce; se non in me, da qualche parte nel pubblico c’è qualcuno che si riconosce in ciò che sto attraversando o lo rispecchia, e magari guarisce prima di me.
Porti con te amuleti e talismani portafortuna. Li indossi anche adesso?
Sì, questi sono i miei veli. Mi piace che i miei abiti facciano musica. Mi hanno detto di circondarmi sempre di cose che mi rendono felice e mi fanno sorridere. E così faccio. La frequenza dei campanelli è molto speciale in ogni cultura.
Viviamo in un mondo molto materialista: perché, per te, la musica è intrinsecamente una pratica spirituale?
La musica è una pratica spirituale per tutta la mia tribù, per tutta la mia famiglia, per ogni società tribale del pianeta. Produrre suono e fare musica significa essere in sintonia con la Terra; che lo sappiamo o meno. Chiamiamo a raccolta le energie che hanno creato musica e suono prima di noi.
In che modo senti che la tecnologia stia plasmando la nostra comprensione di energia, frequenze e pratiche divinatorie?
È tutta energia, che venga da uno e zero o dalla tua voce. È tutta materia. Può essere bene o male, a seconda di chi ne è l’autore. Far parte del nostro nuovo ecosistema digitale è parte integrante di chi sono e di ciò che sono. Sono in quel mondo tanto quanto sono in questo.
Ti descrivi come una “analog girl in a digital world”. In che modo questa sensibilità plasma il modo in cui ti avvicini al suono oggi?
Semplicemente mi viene naturale fare musica. Che sia analogica o programmandola con un sintetizzatore o l’elettronica. Da Pesci, vivo in una dissonanza continua. Ho un piede sulla Terra e un piede in un barattolo di elettricità. L’ho imparato molto in fretta, e così posso innestarlo nella mia arte. So di avere un talento. Io faccio arte, e questo non fa che amplificare ciò che faccio.
Come doula del fine vita certificata, quali parti di te, a livello creativo, hai lasciato andare?
Il bisogno di approvazione e il bisogno di validazione. Un giorno ho semplicemente deciso di certificarmi e non ho più avuto bisogno di quell’approvazione o di quella validazione, perché non posso fare altro che essere me stessa.



















